E’ un sarto.
E’ un cuoco.
E’ un sacerdote.
Pengo si racconta
E’ un sarto: accarezza il carbonio come se fosse seta. E’ un cuoco: seleziona i materiali come se fossero ingredienti. E’ un sacerdote: confessa corone e pignoni come se fossero anime.
Enrico Pengo è un sarto, un cuoco e un sacerdote, è anche un guru, uno stregone e un santone, è soprattutto un medico, un fisioterapista e un massaggiatore, un chirurgo, un ortopedico, un omeopata. Ma delle biciclette. Meccanico. Che a dirla così, sembra poco. Ma che a farlo bene, è tantissimo.
Cinquantadue anni, vicentino. Pengo si racconta: “Papà meccanico di bici: tutto comincia da lui, dal suo laboratorio a Camisano Vicentino”, una passione nata correndo, fino a dilettante e poi da amatore, un amore vissuto in laboratorio, in officina. “Mamma bidella alle elementari: e anche questo ha il suo peso, il suo valore”, perché significa mettere le basi, abitare fra i sogni, coltivare le speranze. Una sorella, minore, di 12 anni. Lui, Enrico, l’ultimo giorno delle medie viene avvertito di trovarsi un lavoro, “e pur di trovare un posto ci metto un giorno: acquari”. Finché uno zio, che lavora alla Benotto, biciclette, gli apre uno spiraglio: “Magazziniere, al volo, senza neppure chiedere se esiste uno stipendio, un salario, un rimborso, e da magazziniere – si vede che era destino - a meccanico”.
Finito il militare, Pengo si fa forza e chiede consiglio e aiuto a Flavio Miozzo: “Meccanico, se possibile”. Miozzo lo avverte: “Non è facile”. Invece un mese e mezzo dopo Miozzo gli offre un posto da lavabici alla ZG Mobili. “Comincio nel gennaio 1993”. Pengo non smetterà più. “Tre anni con la ZG Mobili, poi Gewiss, Batik, Ballan-Alessio, dal 2000 Lampre, dal 2017 Bahrain-Merida”. Il primo Giro d’Italia vinto, con Gibo Simoni: “E’ vero, Gibo mi ha fatto piangere”. Il primo Mondiale vinto, con Alessandro Ballan: “Un sogno diventato realtà”. Da meccanico per i corridori, Pengo si trasforma in meccanico per squadra, e per squadra lui intende famiglia.
Tanti ricordi, soddisfazioni, e per forza anche grandi dolori. «Quello per Michele Scarponi non se ne va. Ero il suo meccanico quando vinse il Giro d’Italia, e ho la fortuna di avere la sua bici fra le mie cose più care. Michele era un grande, aveva sempre un sorriso». Il ciclismo è un pezzo di vita, che si è fermato lungo la strada rimane comunque nel cuore di chi è andato avanti. «Senza togliere niente a nessuno, Franco è Franco. Solo chi ha lavorato col Bàllero può capire cosa dico. Lui era unico. Una cosa che non dimenticherò mai fu il Mondiale di Lisbona: era stato un po’ attaccato perché si era portato il suo personale in Nazionale, mi ricordo che in conferenza stampa disse che quello era stato il suo personale quando correva e lui si fidava ciecamente. Un grande orgoglio».
In ogni storia c’è una vittoria che più di altre rimane nel cuore, «la mia è il Mondiale di Ballan, ma anche il Giro di Gibo». E, questo va detto, Simoni e Ballan sono due corridori che hanno il cento per cento dei consensi se chiedi al personale che ha lavorato con loro. «Gibo era un meccanico nato, diventato matto per la leggerezza della bici. Ho fatto notti in bianco quando lavoravo per lui. Nibali è veramente un grande tecnico, me ne sono accorto subito quando siamo andati in ritiro a Rovigno, non ha vinto per caso quello che ha vinto. Si accorge dei minimi particolari, è bello lavorare con chi ne sa. Per dirti: Berzin nel ‘96 non si accorse che gli avevamo abbassato la bici di tre centimetri perché non ci stava nella scatola. Un’altra volta, prima di un Giro di Romagna, uscì ad allenarsi con la bici di Frattini e non fece una piega».
Ballerini uguale Roubaix, e le Roubaix sono un incubo per un meccanico. «Ho avuto la fortuna di fare le classiche con lui, mi segnavo tutto quello che faceva su un quaderno, sapevo che un giorno sarebbe stato utile per i più giovani. Certe cose magari oggi sono superate, ma io conservo tutto come un tesoro. La Roubaix... Un anno sono diventato matto. In ritiro mi aveva detto: per la Roubaix voglio il 47 di ingranaggio, che non esisteva. Un giorno andai alla Campagnolo, mi ricordo che ribaltammo l’azienda per trovare un 47. Mi disse: prendi un 48 e spaccagli un dente, e lo feci. Lui ci teneva tantissimo a quella corsa. E poi aveva un rito, la mistura». Alt, stop. Di che cosa stiamo parlando? «Il Bàllero aveva un suo liquido speciale, una mistura che preparava lui, non ho mai saputo le dosi. Era una roba antiforatura: cioè, non è che non foravi, ma se foravi facevi ancora almeno un chilometro e a Roubaix può essere decisivo. Me lo ricordo come se fosse adesso: si metteva seduto sul bagagliaio e mi dava la mistura, e io dovevo metterla nei tubolari, all’interno della camera d’aria, con una piccola siringa senza ago. Era il nostro rito».
Giri, Tour, Vuelta, Mondiali È Pengo, il meccanico che ogni corridore pro vorrebbe al suo fianco
Un italiano sul podio del Tour de France. Il 14 luglio 2018 alla partenza dell’ottava tappa da Dreux ad Amiens il direttore della Grande Boucle Christian Prudhomme ha premiato il capo dei meccanici della Bahrain Merida e della Nazionale azzurra su strada, Enrico Pengo. 45 anni, vicentino di Camisano ma padovano di adozione, conosciuto nell’ambiente del ciclismo con il soprannome di “meccanico dei campioni”, ha ricevuto il riconoscimento per la ventesima partecipazione al Tour. «È un premio che mi appaga dei tanti sacrifici che ho fatto in oltre 30 anni di carriera per arrivare a questi livelli. Per coincidenza mi è stato consegnato nel giorno in cui in Francia è festa nazionale»,